CORPO E TECNOLOGIA

Il corpo come terreno di ri-definizione identitaria

Media Art:

Il corpo è al centro di qualsiasi attività umana, compresa l’attività artistica, in quanto elemento tangibile della sua presenza nel mondo. Il corpo è la materia dell’identità umana: agire su di esso (anche semplicemente attraverso azioni “banali” quali farsi un tatuaggio, un piercing, cambiare colore o taglio di capelli…) significa cercare di ri-definire la natura del proprio rapporto con il mondo.

Le pelle delimita i confini del sé, radicandolo in una carne, facendosi frontiera fra il dentro e il fuori. È allo stesso tempo apertura al mondo esterno, grazie alla sua struttura morbida, porosa e assorbente, e limite al di là del quale si articola il proprio mondo interno. Nondimeno è anche struttura identitaria e portavoce della nostra storia attraverso tutti i segni che la caratterizzano: l’odore e la consistenza innanzitutto, e poi nei, cicatrici, bruciature, tatuaggi.
Quando l’altro tocca la nostra pelle, tocca la nostra storia, la nostra interiorità, il nostro io più intimo.

Eva Klasson, Body parts, 1980

 

Il corpo come strumento artistico: la Body Art

La Body Art nasce nel corso degli anni Sessanta, in risposta a una serie di sconvolgimenti sociali e politici che hanno avuto luogo in quegli anni e che cambieranno le basi stesse della società. Si sta parlando della guerra in Vietnam, della contestazione studentesca, dei movimenti a favore dei diritti civili e delle donne, della liberazione sessuale e della “scoperta” delle droghe, della necessità di scalciare finalmente via la vecchia moralità imperante.
Era in atto un vero e proprio terremoto del senso generale della società e dell’esistenza: in ambito artistico, da cosa partire se non dal principio, ovvero il corpo, in quanto carne, svincolato finalmente dall’idea di bellezza, e mostrato in tutto il suo orrore (attraverso la messa in scena di lesioni più o meno profonde, minzioni, escrezioni in presa diretta…)?
L’arte di quegli anni voleva dunque provocare, scuotere, far paura. Voleva andare contro le immagini costruite della pubblicità che proponevano corpi impersonali, “vignettistici”, per un certo senso pure ridicoli, la cui estetica non intimidiva ma anzi cercava di rassicurare. L’arte di quegli anni invece gridava che la vita era da un’altra parte. Il corpo era usato come strumento più antico per affermare il qui e ora, l’adesso, senza alcuna mediazione che avrebbe rischiato di “diluire” l’intensità della protesta.

Dopo quasi 30 anni dalla nascita della Body Art, negli anni Novanta si sviluppa un’esigenza diversa: quella della contaminazione tra corpo e tecnologia. Il rapidissimo sviluppo tecnologico sembrava non avere limiti. Le nuove tecnologie si rincorrevano affannosamente in tutti gli ambiti: medicina, ingegneria genetica, biotecnologie, robotica e chirurgia prostetica stanno rendendo sempre più possibile lo sviluppo di un corpo ibrido, che si pone a metà strada tra l’organico e l’inorganico. L’arte non può che essere influenzata da tali discorsi e sviluppare opere che mettono in discussione la fisionomia del corpo umano e dunque la propria identità.

Stelarc, The Third Hand, 1980- 1998

 

Due esempi: Orlan e Stelarc

Orlan

Io posso vedere il mio corpo aperto senza soffrire (…) posso guardarmi fino al fondo delle viscere (…) ed è in questo sguardo nelle profondità dei nostri vecchi corpi che la contemporaneità è leggibile. L’Arte Carnale è dunque una sfigurazione e una rifigurazione, una sorta di Narciso che non si perde nel suo riflesso. Io faccio un lavoro classico, un autoritrarmi che si iscrive nella carne.
Orlan, 1996

Orlan inizia la sua attività artistica negli stessi anni in cui si sviluppa la Body Art e, sebbene anche lei metta al centro il corpo, lo fa in maniera del tutto diversa rispetto a quella di molti artisti a lei coevi.
Come si è detto, in quegli anni, a livello internazionale, tutto il mondo dell’arte si vedeva travolto da una forte carica politica: in Francia ci fu il cosiddetto Maggio del ’68, l’insieme di movimenti di rivolta che si verificarono tra maggio e giugno di quell’anno volti a minare la società tradizionale, il capitalismo, l’imperialismo e il potere gollista allora dominante in Francia.
Il Maggio del ‘68 è il terreno fertile da cui nasce Orlan. La sua ricerca artistica si basa sul concetto di identità collegata all’immagine della donna, concetto che era, molto più di oggi, sotto la “dominazione” maschile.
I canoni di bellezza imposti, sia nella vita reale che nelle rappresentazioni artistiche, erano volti a compiacere un gusto tutto maschile: la donna era vista quasi come feticcio, imbrigliata nello stereotipato immaginario dicotomico di santa/puttana. Il corpo di Orlan diviene quindi un corpo fortemente politicizzato, anticonformista, antitetico e antiestetico.

Orlan, Omniprésence. Sourire de plaisir (Smile of Delight), 21 Novembre 1993

L’uso che Orlan fa della tecnologia è volto a rimarcare in maniera assolutista e radicale questi temi. Oltre al tentativo di rispondere alla necessità di diminuire la distanza tra essere e apparire, il suo lavoro si concentra prevalentemente sulla ri-definizione del volto, in quanto simbolo dell’Identità per antonomasia.
Il suo progetto artistico-chirurgico prevedeva l’innesto di due protesi, di norma utilizzate per il rialzo degli zigomi, che lei fa porre ai lati della fronte, a mo’ di piccole “corna”. L’ultimo intervento di questa operazione è stato trasmesso in tempo reale, via satellite, in vari siti museali dando al pubblico la possibilità di porre domande.
Il rito è stato de-sacralizzato. Con questa sua azione Orlan si “appropria” del mezzo della chirurgia estetica, che fino ad allora era ritenuta, dalla società capitalista maschilista, lo strumento ideale per modificare il corpo della donna secondo un canone di bellezza istituito a proprio uso e consumo, rendendolo invece lo strumento perfetto per un’autonoma ri-costruzione identitaria. Questa operazione recide in maniera netta la distinzione tra arte e vita e creando un innesto di carne e silicio, di un corpo che sta tra l’organico e l’inorganico.

Stelarc

Bisogna sostituire lo psico-corpo con il cyber-corpo.
Stelarc, 1994

Stelarc comincia la sua attività artistica negli anni ’70 e sin da subito inizia a sondare i limiti “geografici” del corpo umano, realizzando video all’interno di esso (precisamente nello stomaco, nel colon e nei polmoni).
L’artista non è interessato all’estetica classica, alla quale l’arte è da sempre molto legata: non gli interessa l’apparenza, vuole penetrare nelle viscere, carpirne la geografia, attraversare il sangue, i muscoli, gli organi, gli umori. Vuole andare oltre la dicotomia interno/esterno, vuole capire ciò che mette in movimento l’organismo, ciò che lo fa vibrare, pulsare.

Tra il 1976 e il 1988 Stelarc esegue The Body Suspensions, una serie di performances in cui l’artista si fa perforare la pelle da ganci in acciaio e sospendere per ore, grazie all’elasticità della pelle, in luoghi sempre diversi. A seconda della situazione, sono necessari tra i quattordici e i diciotto punti di inserzione, ognuno dei quali coincide con un punto di dolore. La preparazione di ciascuna performance, essendo molto delicata, richiede circa 40 minuti. Nel momento del sollevamento e della ridiscesa, Stelarc veniva colto dal dolore e gli ci voleva circa una settimana per riprendersi completamente dalle ferite.
A dispetto di quanto possa sembrare, non c’era nessuna carica mistica a guidare queste sue sospensioni, bensì una riflessione sui limiti corporali, oltre che un tentativo di analizzare e andare oltre il concetto di gravità. 

Stelarc, Sitting/Swaying: Event for Rock Suspension, 1980

L’attività artistica di Stelarc è volta a creare, come lui stesso dice in un’intervista ad Artribune un’architettura anatomica alternativa.
Per l’artista il corpo umano è diventato infatti ormai obsoleto, una specie di carapace anacronistico, e soltanto attraverso l’uso della tecnologia è possibile modificarlo per renderlo più attuale, con innesti tecnologici e protesi estremamente avanzati. La pelle, quindi, diventa puro materiale su cui lavorare.
Con lui ha inizio un processo di smaterializzazione estetica: la presenza sempre più massiccia e costante delle tecnologie nella sfera artistica ha cambiato la percezione estetica comune, andando verso un concetto di bello immateriale e indistinto.

Il corpo perfetto e assoluto non mi interessa: ciò che mi interessa è seguire una strategia dalle molteplici possibilità. Il corpo post-umano è quello che diventa l’ospite di nanotecnologie che tendono a liberarlo dalla fatica dell’invecchiamento, che lo migliorano nella sua funzionalità. Il corpo post-umano si estende a un’entità robotica, si connette con la Realtà Virtuale e si rapporta a una intelligenza esterna, artificiale e quindi si potenzia.
Stelarc, 1994

Irene Toniolo
Regista e Artista Visuale

 

Bibliografia

Teresa Macrì, Il corpo postorganico. Sconfinamenti della performance, Costa & Nolan, 1997

David Le Breton, La pelle e la traccia. Le ferite del sé, Meltemi, 2016

Donatella Giordano, Architetture anatomiche alternative. Intervista a Stelarc, Artribune, 20/12/2017

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